ROMA, 25 FEBBRAIO – Pubblichiamo un’intervista a cura di Marina Martelloni a Andrea Dominici, responsabile INTERSOS per l’Africa Occidentale, che traccia un bilancio del lavoro svolto dalla Ong nel 2018.
Che 2018 è stato?
”Un anno segnato da tanto, tantissimo lavoro ma anche da una crescente insicurezza.. E per quelo che è appena cominciato ancora tanto, tantissimo lavoro. Ma, purtroppo, temo nessun miglioramento sul fronte della sicurezza”.
Andrea Dominici parla in particolare di quel pezzo d’Africa che va dal Ciad al Camerun, passando per la Nigeria e per la Repubblica Centrafricana. Dominici racconta: ”Neanche tre mesi fa, siamo stati protagonisti dell’apertura di un ospedale in Nigeria; però, una domenica di gennaio, c’è stato un attacco proprio in quella città, da parte di un gruppo armato che, durante gli scontri, è entrato anche nell’ospedale. Una situazione difficile, ma prevedibile. Ci eravamo preparati bene e la vicenda s’è conclusa nel migliore dei modi sia per il nostro personale che per gli assistiti”.
Operare in quelle zone, cambia qualcosa dal punto di vista ‘professionale’?
”Sì, perché in questo spicchio di Africa, oltre a dover organizzare gli interventi umanitari – e stiamo parlando di emergenze che coinvolgono centinaia di migliaia di persone, emergenze spesso lontane dall’attenzione dell’opinione pubblica occidentale – abbiamo dovuto imparare la sofisticata arte della diplomazia. Parlare con tutti, trattare con tutti, trattare con milizie armate. Stando bene attenti a non toccare la suscettibilità di un interlocutore o dell’altro. Pazienti. Ma sapendo che se non sei anche un buon diplomatico ci rimette la popolazione civile”.
Paga questa neutralità?
”Sì, paga, perché essere neutrali ed essere percepiti come tali è l’unico modo per avere accesso alle popolazioni più vulnerabili intrappolate nei conflitti. Si pensi solo alle zone del Camerun che in questo momento sono segnate da una crescente tensione politica e da una forte presenza di gruppi armati che si scontrano con i soldati del governo centrale. Lì si calcola che siano almeno 350/400 mila le persone costrette a rifugiarsi nei boschi per sfuggire all’insicurezza. Persone che noi cerchiamo di raggiungere ed alle quali proviamo a dare una mano”.
E cosa fa lì INTERSOS?
”Sono aree, vastissime, di difficile accesso, nelle quali non arriva nessun altro aiuto. Noi facciamo soprattutto un’azione di monitoraggio, controlliamo che siano rispettati gli elementari diritti delle persone costrette a fuggire. E in più, distribuiamo diversi tipi di kit.
Pentole, coperte, sacchi a pelo, sapone, materiale igienico-sanitario: tutto ciò che è indispensabile per vivere (sopravvivere) nelle foreste, lontano dai conflitti. Ma tutto questo, lo possiamo fare solo perché siamo visti come neutrali e quindi questa scelta paga”.
Quasi sempre?
”Ovviamente, ci sono casi nei quali tutto diventa più difficile”.
Un esempio
”Non voglio farli, quando parlo di sforzo ‘diplomatico’ mi riferisco anche al fatto che non ha senso denunciare le difficoltà. Occorre solo lavorare con pazienza per superarle”.
Basta non fare nomi, né indicare luoghi.
”E allora racconto che in uno dei paesi nei quali sono responsabile dei progetti, siamo arrivati in un villaggio con degli aiuti. Sembrava tutto a posto. Invece, all’improvviso, uno dei responsabili di un gruppo armato ha sostenuto che i nostri aiuti erano avvelenati. Venivano dalla capitale ed erano stati avvelenati dal governo centrale. Non ci è rimasto che fare retromarcia lasciando i beneficiari a mani vuote. Ma solo per qualche giorno. Infatti, abbiamo continuato a discutere con il gruppo armato fino a quando li abbiamo convinti e abbiamo potuto fare la distribuzione. Credo che basti questo a far capire che difficoltà si incontrano”.
Pensi che le difficoltà siano destinate ad attenuarsi in questo 2019?
”No, non credo proprio. Se mi chiedi di progetti, rispondo che abbiamo intenzione di allargare – e di molto – il numero dei beneficiari dei nostri aiuti. Abbiamo in mente molti progetti, molte iniziative per questo 2019. Ma se mi si chiede se migliorerà la situazione dal punto di vista sicurezza, sono costretto a rispondere no”.